Il cancro rappresenta, dopo le patologie cardiovascolari, la principale causa di morte nel mondo occidentale. L’aumentata aspettativa della durata della vita ed il conseguente invecchiamento della popolazione, fanno prevedere un possibile aumento dell’incidenza di questo eterogeneo gruppo di patologie essendo i tumori più frequenti nella popolazione anziana.
Nonostante gli innegabili progressi realizzati dalla medicina negli ultimi anni nella cura di queste patologie la mortalità resta comunque elevata, intorno al 50% di tutti i casi di tumore. Il successo terapeutico delle moderne strategie terapeutiche dipende in larga misura dallo stadio in cui viene diagnosticata la neoplasia. E’ quindi chiaro che una diagnosi quanto più precoce possibile, ancora prima della comparsa dei primi sintomi (prevenzione secondaria), può contribuire in modo determinante alla riduzione della mortalità da tumore.
Anche l’individuazione delle cause favorenti l’insorgenza delle neoplasie e la loro eliminazione dall’ambiente (prevenzione primaria) è un obiettivo da perseguire con tenacia. Si può anche affermare che la prevenzione primaria, cioè l’individuazione delle sostanze cancerogene e la loro rimozione dall’ambiente, rappresentino l’approccio ideale al problema. Tuttavia non sempre è facile identificare tutte le sostanze nocive o eliminarle dal nostro ambiente soprattutto quando fanno parte della nostra cultura e del nostro modo di essere.
Prevenzione Primaria: Si intende con questo termine l’individuazione delle cause di una patologia e la loro rimozione dall’ambiente al fine di ridurre il rischio di malattia.
Prevenzione Secondaria: Con questo termine si intende l’individuazione di patologie già in atto ma ancora asintomatiche realizzabili con programmi di screening sulla popolazione a rischio e asintomatica. Diagnosi Precoce: individuazione di una patologia in atto al comparire dei primi sintomi. Si tratta cioè di una diagnosi fatta su persone che iniziano ad essere sintomatiche e non su popolazione asintomatica. |
Vediamo quindi di analizzare più approfonditamente cosa è e come si forma un tumore cercando di capire cosa possiamo concretamente fare per ridurre la probabilità di esserne colpiti o, almeno, per riconoscerne in tempo i primi segnali al fine di porre un argine efficace al suo sviluppo…
Cenni di Cancerogenesi
Il nostro organismo è formato da molte cellule. In ogni organo le cellule svolgono compiti specializzati per assolvere alle funzioni cui sono preposte ed assumono caratteristiche morfologiche peculiari differenti da organo ad organo. La crescita nelle cellule normali è rigidamente controllata da meccanismi solo in parte conosciuti che ne regolano il numero e l’attività in funzione delle esigenze fisiologiche dell’organismo. Ad esempio le cellule che formano la mucosa del tratto intestinale assumono caratteristiche diverse a seconda del tratto esaminato. Una cellula della mucosa gastrica è diversa da una cellula della mucosa del colon. Tutte queste cellule comunque crescono, si sviluppano e muoiono garantendo un perfetto equilibrio all’interno della struttura che contribuiscono a creare.
Le cellule che costituiscono un tumore, e che sono comunque derivate da una cellula normale del nostro organismo, hanno perso la capacità di regolare la propria crescita, in altre parole non viene mantenuto l’equilibrio tra le cellule che muoiono e quelle che nascono. Il tumore tende quindi a crescere progressivamente senza curarsi dell’organismo del quale è ospite provocandone danno ed anche la morte. La regolazione della crescita della cellule è determinata da molti geni. Questi geni sono presenti sia nelle cellule sane che in quelle malate, il problema è che in quelle malate la loro regolazione è imperfetta e le cellule neoplastiche tendono a moltiplicarsi in eccesso. Nei primi tempi della loro scoperta questi geni furono suggestivamente battezzati come “oncogeni”.
Le cause che determinano la trasformazione di una cellula sana in una cellula tumorale sono molteplici molte conosciute e probabilmente molte ancora da scoprire. Gli studi effettuati su animali di laboratorio e su colture cellulari in vitro hanno permesso di individuare diverse fasi nel processo di trasformazione di una cellula sana in una cellula neoplastica. E’ possibile individuare una prima fase detta fase di induzione ed una seconda fase detta fase di promozione. Durante la fase di induzione un primo agente detto “induttore tumorale” (chimico, fisico o biologico) provoca un danno sul DNA cellulare provocando una mutazione del medesimo. Su questa cellula “mutata” può agire un secondo agente detto “promotore” che completa la trasformazione in senso neoplastico della cellula.
Occorre meglio specificare le tappe di questo processo che nella realtà è molto complesso e ricco di variabili legate alla cellula, all’ospite ed all’ambiente.
FASE DI INDUZIONE
Una mutazione può essere riparata dai meccanismi di riparazione della cellula, oppure può determinare la morte della cellula se la mutazione danneggia una parte vitale del genoma, oppure ancora può provocare una mutazione permanente del DNA con la sopravvivenza della cellula. In quest’ultimo caso se la mutazione ha coinvolto un tratto di DNA quiescente in quella particolare cellula non ci sarà alcuna conseguenza, e questo è il caso più frequente. Se però la mutazione avrà coinvolto geni critici, magari preposti alla produzione di proteine coinvolte nei meccanismi di regolazione della crescita cellulare, ecco che il rischio aumenta.
FASE DI PROMOZIONE
Se alla fase di Induzione segue, anche a distanza di molto tempo, l’azione di una sostanza promovente si può innescare la proliferazione incontrollata della cellula mutata dando inizio al processo neoplastico comunemente inteso. Le sostanze promoventi possono essere le più varie, può trattarsi anche di sostanze fisiologiche oppure di altri agenti chimico-fisici, oppure ancora delle stesse sostanze inducenti.
Come unico esempio di questa sequenzialità si può considerare il caso dell’olio di Croton che da solo è soltanto una sostanza lievemente irritante e se spalmata sulla cute provoca solo una leggera infiammazione del tutto transitoria. Analogamente spalmando sulla cute un idrocarburo, sostanza cancerogena, non si ottiene nessuna neoplasia. Se però applichiamo su una zona cutanea di un animale di laboratorio un idrocarburo e poi applichiamo ripetutamente nello stesso punto dell’olio di Croton, ecco che si sviluppa un tumore cutaneo. In questo caso l’idrocarburo funge da induttore mentre l’olio di Croton è il promotore.
Semplificando possiamo dire che gli agenti induttori (anche detti agenti iniziatori) sono sostanze cancerogene che devono agire prima di eventuali sostanze promoventi, hanno una azione irreversibile, si legano alle macromolecole biologiche della cellula e possono indurre mutazioni. Gli agenti promotori invece non sono cancerogeni da soli, devono agire dopo l’esposizione ad una sostanza cancerogena induttrice, hanno un’azione che può essere reversibile negli stadi iniziali, non formano legami con le macromolecole biologiche e di conseguenza non producono mutazioni.
Cenni di Eziopatogenesi del Cancro
I FATTORI CHIMICI
Le sostanze chimiche prodotte dalla nostra società sono innumerevoli, e possiamo trovarne traccia ovunque nel nostro ambiente, nell’aria così come nell’acqua. Molte di queste sostanze hanno dimostrato la loro pericolosità solo anni dopo l’inizio della loro utilizzazione.
Il primo esempio di tumore indotto dall’esposizione ad una sostanza risale addirittura al 1775 quando un medico inglese, Percival Pott, notò una abnorme incidenza di tumori dello scroto nei giovani spazzacamini londinesi e mise in correlazione tale evento con la fuliggine. Più tardi anche il catrame ed i suoi derivati così come gli olii minerali furono etichettati come cancerogeni.
Il caso del Dr. Pott e degli spazzacamini è emblematico e rappresenta il primo caso di cancerogenesi professionale nella Storia della Medicina. Da allora le segnalazioni sono state innumerevoli e comprendono sostanze alchilanti, idrocarburi policiclici, amine aromatiche e nitrosamine, sostanze inorganiche come il cromo, il nichel ed il cadmio. Esistono poi sostanze chimiche cancerogene naturali come le aflatossine prodotte da funghi (Aspergillus Flavus) che crescono su cereali mal conservati, soprattutto nei climi caldo-umidi. Nell’illustrazione sottostante è rappresentata l’Aflatossina B1
Senza voler entrare nei dettagli chimici di queste sostanze basta un veloce elenco per rendersi conto quanto siano diffuse nel nostro ambiente. L’inquinamento atmosferico, l’esposizione professionale nei luoghi di lavoro, alcuni conservanti per l’industria alimentare ora fortunatamente non più usati, sono fattori che ci coinvolgono tutti. Una variabile non valutabile è poi rappresentata dalla contemporanea presenza di più fattori che sicuramente cooperano in un mutuo potenziamento delle reciproche capacità cancerogenetiche difficilmente quantificabile.
Gli alchilanti sono sostanze chimiche dalla spiccata propensione a reagire con altre molecole, organiche e non. Questa caratteristica viene estesamente sfruttata dall’industria per creare legami “forti” tra molecole diverse. Sfortunatamente queste molecole creano legami “a ponte” anche nelle macromolecole biologiche come il DNA alterandone la funzione. Anzi, questa loro caratteristica viene proprio sfruttata da una classe di farmaci, detti appunto alchilanti, che sono in grado di danneggiare irreversibilmente il DNA delle cellule. Sostanze alchilanti vengono usate anche nell’industria tessile per creare “ponti” fra le fibre della lana e rendere il tessuto più resistente. Occorre precisare comunque che non è pericoloso indossare un maglione o una sciarpa di lana, il nostro intento è solo quello di fare capire che si tratta di sostanze molto usate e che quindi vengono prodotte in grandi quantità; la loro manipolazione industriale, così come l’eventuale dispersione nell’ambiente, costituiscono quindi un rischio sempre presente nella nostra società.
Gli idrocarburi policiclici furono identificati ed estratti dal catrame intorno agli anni venti. In quel periodo si era scoperto che gli addetti alla lavorazione del catrame venivano colpiti frequentemente da tumori cutanei e la controprova, eseguita spalmando catrame sulla cute di animali di laboratorio, aveva confermato la correlazione diretta tra esposizione al catrame ed insorgenza di neoplasie. La sostanza identificata per prima fu il 3,4-benzopirene, una sostanza chimica composta da cinque “anelli aromatici”. Successivamente ne furono identificate numerose altre tutte con il nucleo principale contenente tre o più anelli aromatici. Un anello aromatico altro non è che una molecola formata da un esagono avente un atomo di carbonio in ogni angolo con un numero variabile di atomi di idrogeno ed eventualmente altri atomi collegati, ad esempio gruppi metilici. In natura la presenza di idrocarburi policiclici non è rilevante, essi infatti si formano durante la combustione di sostanze organiche ad alta temperatura, tra i 600 ed i 900 °C. Si ritrovano quindi frequentemente nel catrame, nel fumo di sigaretta, nei prodotti della combustione delle benzine e dei carburanti idrocarburici in genere. Queste molecole sono estremamente reattive e nel nostro organismo subiscono prima una trasformazione in “epossidi” e poi reagiscono con le macromolecole biologiche provocando i danni cellulari e le mutazioni responsabili della trasformazione neoplastica delle cellule. Oltre ai tumori cutanei è stato dimostrato che possono provocare sarcomi se iniettati sottocute e tumori gastrici se ingeriti.
Le nitrosamine vengono trasformate dal nostro fegato in sostanze alchilanti. Le nitrosamine si formano all’interno del nostro stomaco per una reazione chimica favorita dall’acidità gastrica che trasforma i nitriti, che sono spesso utilizzati come conservanti alimentari. La reale portata cancerogena di queste sostanze è ancora dibattuta poiché sono molte le sostanze alimentari in grado di interferire in questa sintesi. (Ad esempio le sostanze riducenti come la vitamina C).
I FATTORI FISICI
Le Radiazioni Ionizzanti rappresentano una causa molto importante di insorgenza di neoplasie. Possono indurre tumori praticamente in ogni organo in funzione della dose e delle modalità di esposizione. Le radiazioni ionizzanti esistono da sempre in natura. Sostanze radioattive sono naturalmente presenti in alcuni tipi di rocce, alcune sostanze volatili come il Radon sono radioattive, le radiazioni cosmiche vengono efficacemente filtrate dall’atmosfera ma una piccolissima frazione raggiunge comunque gli strati inferiori. Esiste cioè un “fondo” di radioattività naturale a cui non possiamo sottrarci e che sicuramente ha un suo ruolo nel meccanismo della cancerogenesi ma anche in quello dell’evoluzione.
A queste sorgenti naturali dobbiamo poi aggiungere le sorgenti radioattive dovute all’attività umana, come le esplosioni nucleari nell’atmosfera a scopo bellico e sperimentale, gli incidenti alle centrali nucleari e perfino in una certa misura l’attività medica diagnostico-terapeutica.
Esistono diversi tipi di radiazioni ionizzanti, corpuscolate o di natura elettromagnetica, ma in questa sede è sufficiente dire che si tratta di radiazioni dotate di una considerevole energia, sufficiente ad espellere alcuni elettroni dalle loro orbite generando così degli ioni, delle particelle cioè cariche elettricamente, e determinando alcune modificazioni molecolari che sono alla base del danno biologico da radiazioni. Il danno può avvenire direttamente a carico della molecola biologica oppure in via indiretta su piccole molecole, come quelle di acqua, determinando la formazione di radicali che, in presenza di ossigeno, si trasformano in perossidi i quali possono poi reagire con le molecole biologiche come il DNA.
Fortunatamente le nostre cellule sono in grado di riparare un gran numero di danni provocati dalle radiazioni ionizzanti o da qualsiasi altro agente mutageno. L’efficienza e l’efficacia di questi meccanismi di riparazione dipendono da molti fattori come il numero di mutazioni in una stessa cellula, la predisposizione genetica ed il tipo di danno subito.
Il danno che un tessuto biologico può subire dipende anche dallo stadio in cui si trova la maggior parte delle cellule che lo compongono. In altre parole un tessuto in rapida proliferazione cellulare ha una maggiore sensibilità alle radiazioni, ma anche agli altri agenti mutageni, di un tessuto a lenta proliferazione cellulare. Questo perché una cellula in fase riproduttiva si trova in un momento della propria vita estremamente delicato dove sta impegnando la quasi totalità delle proprie risorse energetiche e dove la totalità dei meccanismi riproduttivi sono in fase attiva. Un danno che avvenga in questo momento difficilmente potrebbe essere riparato in tempo e si rifletterebbe immediatamente nei meccanismi in corso. La cellula può subire una mutazione tale per cui non e` in grado di sopravvivere oppure può portare a termine il processo riproduttivo in maniera non ottimale generando cellule anomale. Le anomalie possono essere morfologicamente visibili al microscopio dove si possono riscontrare alterazioni un po’ in tutte le strutture cellulari ed anche nel numero e nelle dimensioni dei cromosomi, oppure possono essere funzionali e varieranno a seconda di quale struttura cellulare sarà stata coinvolta. In ogni caso se il danno non sarà stato tale da bloccare i meccanismi riproduttivi della cellula da questo momento in poi tutte le cellule che deriveranno da questa erediteranno la mutazione dando origine ad un “clone” mutato.
I tessuti in più rapida e costante fase riproduttiva sono i tessuti del sistema ematopoietico presente all’interno del midollo osseo e le cellule che compongono gli epiteli di rivestimento dei canali alimentare e del sistema respiratorio. Le cellule che compongono questi tessuti vengono anche definite “cellule labili”. Le cellule epatiche entrano in fase riproduttiva solo occasionalmente per rimpiazzare eventuali perdite cellulari, queste vengono definite come “cellule stabili”. I neuroni cerebrali e del midollo spinale così come le cellule muscolari invece non entrano mai in fase riproduttiva, sono cellule perenni, una volta persi non possono essere sostituiti, qui parliamo di “cellule permanenti”.
Questa classificazione cellulare in cellule labili, stabili e permanenti si riflette anche sulla resistenza alle radiazioni, in altre parole occorrono dosaggi via via crescenti per causare danni a tessuti composti da cellule labili stabili e permanenti.
Il fatto che una cellula abbia subito una mutazione permanente e che la trasmetta a tutte le sue discendenti non significa che per forza tale mutazione abbia delle conseguenze per la cellula e per l’ospite. Ad esempio può essere danneggiato un tratto del DNA che in quella particolare cellula è inattivo. Infatti ogni cellula contiene una copia di tutto il DNA ma ne utilizza solo una piccola parte, quella parte che contiene le informazioni biologiche necessarie alla propria differenziazione e specializzazione. Una cellula epatica utilizzerà sequenze di DNA diverse rispetto ad una cellula, ad esempio della cute.
Analizziamo adesso il tipo di danno che i diversi tessuti umani subiscono in caso di irradiazione molto elevata, come ad esempio in caso di esposizione ad eventi bellici od a gravi incidenti in centrali nucleari.
Il Tessuto Emopoietico è tra i tessuti più sensibili alle radiazioni ionizzanti. All’interno del midollo osseo avviene la differenziazione e la maturazione degli elementi corpuscolati del sangue, i globuli bianchi, i globuli rossi e le piastrine. La fase di differenziazione è quella dove maggiore è l’attività mitotica delle cellule mentre in quella maturativa le cellule terminano il loro processo maturativo senza dividersi ulteriormente. Una esposizione ad alte dosi di radiazioni ionizzanti determinerebbe in questo caso la morte di molte cellule nella fase più immatura. Nel sangue periferico non noteremo quindi subito delle alterazioni apprezzabili poiché per alcuni giorni continueranno ad essere immesse in circolo le cellule che erano già arrivate alla fase maturativa. Dopo qualche giorno si comincerà a notare un calo nel numero dei globuli bianchi mentre per notare una riduzione del numero dei globuli rossi bisognerà attendere più a lungo. La vita media di un globulo rosso è infatti di 120 giorni mentre quello di un granulocita può variare da poche ore a pochi giorni. Le conseguenze per l’organismo dipenderanno dall’estensione di midollo osseo irradiato; più sarà esteso e più marcate saranno la leucopenia e l’anemia. Le tragiche esperienze di Hiroshima e Nagasaki ci hanno poi mostrato come l’intensa esposizione radioattiva abbia provocato un aumento dell’incidenza di leucemie negli anni seguenti sui superstiti alle esplosioni.
Anche l’Apparato Digerente è annoverato tra i tessuti più radiosensibili. Le mucose che rivestono la parte interna delle sue strutture cave è caratterizzato da un veloce ricambio cellulare e la morte di un numero cospicuo di queste cellule porta ad importanti alterazioni funzionali all’interno dell’intestino stesso. Il tratto di parete intestinale interessata non è più in grado di assorbire i liquidi ed i sali. Questo porta alla comparsa di una grave diarrea che a seconda della gravità può anche essere emorragica. Se il paziente sopravvive possono formarsi delle fibrosi durante i processi di guarigione con possibili stenosi (restringimenti) del canale alimentare.
LE ABITUDINI ALIMENTARI
Che le abitudini alimentari di una popolazione abbiano un ruolo sull’incidenza delle neoplasie è un dato risaputo. Più difficile è determinare con esattezza i singoli fattori favorenti anche se ormai l’epidemiologia ha permesso di evidenziare con ragionevole certezza abitudini ed alimenti a rischio. L’incidenza delle varie neoplasie varia a secondo delle regioni geografiche considerate ma negli ultimi decenni è variata in funzione di molte variabili come il rapido mutare delle abitudini alimentari dovute al progresso tecnologico, oppure al movimento migratorio di importanti quote di popolazione.
In generale nelle aree più povere del globo, dove il consumo di proteine e lipidi è ridotto, si verifica una minore incidenza di neoplasie del colon, mammella, utero, ovaio e prostata rispetto alle aree più industrializzate.
Quando assistiamo ad importanti movimenti migratori, ad esempio dalla Cina o dal Giappone verso gli Stati Uniti, notiamo che con il passare dei decenni, e col progredire dell’integrazione, anche gli immigrati vanno incontro alla medesima incidenza di neoplasie degli americani. Neoplasie che invece nelle loro terre di origine erano meno presenti. Per quel che riguarda il Giappone poi dal dopo guerra ad oggi ha radicalmente modificato la tipologia della dieta ed ormai anche in quella nazione l’incidenza delle neoplasie si avvia ad avere le stesse caratteristiche delle regioni occidentali.
All’interno della medesima società è possibile individuare gruppi di popolazione con abitudini alimentari diverse. Basti pensare ai vegetariani od a gruppi religiosi come i Mormoni e gli Avventisti. Tra questi gruppi, che ingeriscono una minor quantità di grassi e proteine di origine animale per convinzioni religiose, l’incidenza di molte neoplasie è minore rispetto al resto della popolazione vivente nelle medesime zone.
L’obesità, che pure può essere messa in relazione ad un aumentato introito calorico, è un ulteriore fattore di rischio per il cancro, oltre ad esserlo già per il sistema cardiocircolatorio.
In sintesi appare chiaro che da molti studi epidemiologici emerge una chiara correlazione tra il consumo di grassi, e in minor misura di proteine, e l’incidenza di neoplasie. All’inverso emerge un’azione protettiva svolta dagli elementi vegetali in particolare quelli ricchi di fibre. Il fumo, l’alcool, le tecniche di cottura e di conservazione dei cibi possono poi interferire ulteriormente con l’incidenza di neoplasie.
Il consumo di grassi e l’aumentata incidenza, nonché la mortalità, per i più comuni tipi di neoplasie (colon, mammella, utero, ovaio eprostata) è stata dimostrata con gli studi epidemiologici. Tuttavia questi studi hanno anche messo in evidenza delle differenze in relazione ai tipi di grassi consumati. Soprattutto i grassi di origine animale hanno una correlazione positiva con l’aumentata incidenza di patologie neoplastiche. Nel sud dell’Italia, dove maggiore è il consumo di olio di oliva, esiste una minore incidenza di tumori del colon-retto.
Circa i meccanismi che portano a queste diversità si sono ipotizzate le seguenti possibilità. Una ingestione rilevante di acidi grassi di origine animale produce un’aumentata escrezione di acidi biliari i quali vengono metabolizati a livello intestinale e trasformati dalla flora intestinale in acidi e sali biliari secondari (ad esempio nel 3-metilcolantrene) che possono avere azione cancerogena. Si è potuto infatti verificare che un aumento di grassi animali nella dieta provoca un aumento della escrezione di acidi biliari secondari, mentre un aumento delle fibre vegetali ne causa una riduzione. Queste sostanze a contatto della mucosa intestinale possono avere un ruolo non secondario nella genesi delle neoplasie del tratto terminale dell’apparato digerente.
Negli obesi l’aumento percentuale della quota di tessuto adiposo periferico favorirebbe la trasformazione dell’androstenedione in estrone, che negli animali risulta essere cancerogeno e che è tra l’altro la principale fonte di estrogeni per le donne in post-menopausa, e spiegherebbe l’aumentata incidenza di tumori della sfera ginecologica femminile (utero, ovaio e mammella) nelle donne obese. Le cellule normali di questi organi, soprattutto di endometrio e mammella, sono dotate di recettori per gli estrogeni. Hanno cioè sulla loro superfice delle proteine a cui si legano gli estrogeni. Questo fa si che si inneschi, in condizioni fisiologiche, la crescita e la proliferazione cellulare. Se il livello di estrogeni circolante è abnormemente elevato e non fisiologicamente regolato, si può avere la crescita di frazioni considerevoli di queste cellule. In sintesi l’estrogeno che si lega al proprio recettore su una cellula endometriale o della mammella ne costituisce uno stimolo alla proliferazione (iperplasia). Se poi una di queste cellule fosse una cellula “mutata” il rischio che si inneschi un vero e proprio processo neoplastico sarebbe elevato.
Anche le tecniche di conservazione dei cibi e le modalità di cottura hanno un proprio ruolo nella cancerogenesi umana. La prova si ricava dall’inaspettata e sostanziale riduzione dei tumori dello stomaco verificatasi nelle nazioni occidentali negli ultimi anni. Il tumore dello stomaco è andato progressivamente riducendosi negli Stati Uniti ed in Europa di pari passo con la diffusione capillare della refrigerazione dei cibi ed alla progressiva diminuzione di tecniche di conservazione come la salatura, l’affumicatura, la stagionatura e l’abituale utilizzo dei nitriti. Anche la diminuzione del consumo di cibi arrostiti e fritti ha contribuito alla riduzione del tumore dello stomaco. Nelle nazioni occidentali è andata aumentando anche la quantità di vitamine assunte con la dieta. Fra le varie vitamine soprattutto la vitamina C ha un ruolo importante nella protezione della mucosa gastrica dall’azione dei cancerogeni chimici poiché si oppone alla trasformazione dei nitriti in nitrosamine che come abbiamo visto hanno un’azione cancerogena. Il miglioramento delle tecniche di conservazione dei cibi, se da un lato ha permesso la riduzione dell’affumicatura e della salatura, dall’altro ha anche permesso una migliore conservazione dei vegetali con la preservazione di una maggiore quota di vitamine all’interno degli alimenti e quindi una loro maggiore assunzione. Le famiglie giapponesi, paese con una grande incidenza di tumori dello stomaco, hanno iniziato dopo gli Stati Uniti e l’Europa a dotarsi elettrodomestici adibiti alla refrigerazione dei cibi e una riduzione dell’incidenza delle neoplasie gastriche ha iniziato a manifestarsi anche qui ma non ancora con l’intensità dei paesi occidentali.
Riassumendo possiamo quindi dire che un introito calorico commisurato alle effettive necessità individuali, una dieta varia, ricca di fibre, di vitamine, preferendo il consumo di grassi vegetali (olio di oliva) a quelli di origine animale ed una preferenza nel consumo di cibi freschi può contribuire a ridurre il rischio di contrarre una qualche forma neoplastica.
L’ALCOOL
L’alcool, quando assunto in quantità eccessiva, è sicuramente una concausa nell’insorgenza di una ampia categoria di neoplasie soprattutto a carico dell’ orofaringe, esofago e laringe. Il rischio è molto più elevato se il soggetto bevitore è anche un fumatore poiché esiste certamente un meccanismo di potenziamento reciproco nella capacità cancerogenetica. Non dobbiamo neppure dimenticare che l’alcool ha anche altre implicazioni negative ad esempio a carico del fegato. E’ probabile che un consumo moderato di alcool (due bicchieri di vino rosso al giorno per gli uomini, la metà per le donne) sia da considerare protettivo nel rischio di infarto miocardico, dosi maggiori tuttavia sono nocive anche in campo cardiovascolare.
IL FUMO
Sulla cancerogenicità del fumo sono stati scritti fiumi di inchiostro. Tutti noi sappiamo quanto questa abitudine di vita sia deleteria per la salute eppure continua ad essere estremamente diffusa.
L’abitudine al fumo determina una aumento considerevole del rischio di ammalarsi di una vasta gamma di neoplasie: orofaringe, laringe, esofago, vescica, pancreas, albero tracheobronchiale e polmone. Naturalmente il fumo provoca anche tutta una serie di patologie non neoplastiche di considerevole gravità come le affezioni cardiovascolari e la brocopneumopatia cronica ostruttiva.
Il cancro del polmone è al primo posto per diffusione nei paesi occidentali. Da solo costituisce quasi un terzo di tutti i tumori. Il fumo aumenta il rischio di contrarlo di circa dieci volte. Questo significa che in una ipotetica popolazione di non fumatori il numero dei tumori del polmone sarebbe dieci volte più basso. Fino a qualche anno fa l’uomo era molto più colpito della donna, infatti le donne hanno iniziato a fumare qualche decennio dopo gli uomini, nel secondo dopoguerra. Considerando che il tempo di latenza perché si manifesti il tumore può essere di circa trenta anni ecco che si spiega il relativo ritardo da parte delle donne nel raggiungere gli uomini in questo triste primato. Attualmente anche nelle donne il tumore del polmone si avvia “fieramente” ad essere il tumore più diffuso superando il tumore della mammella.
La diffusa abitudine al fumo, e soprattutto il suo precoce inizio, da parte delle nuove generazioni non fanno prevedere nulla di buono per i prossimi anni. Se dal mondo occidentale scomparisse il fumo si è calcolato che l’incidenza delle più comuni neoplasie si ridurrebbe del 20% nell’arco di venti o trenta anni. Questo è un dato che deve fare pensare tutti ma mi auguro soprattutto i più giovani. La salute è un bene fondamentale da conservare, una volta persa non sempre si può recuperare.
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